Autismi in pratica. Apprendimento e autismo

Quando si decide che i tempi sono maturi per insegnare una nuova competenza a una persona autistica, è importante tenere bene a mente come si impara.
Noi tutti impariamo tramite condizionamento classico, condizionamento operante e modellamento. Vediamoli nel dettaglio.

Condizionamento classico
Alcuni stimoli elicitano automaticamente determinate risposte, ovvero i riflessi incondizionali, così definiti perché non dipendono da precedenti esperienze di apprendimento o condizionamento. Se associo a uno di questi stimoli (incondizionali) uno stimolo neutro, dopo una serie di presentazioni sarà sufficiente proporre quello neutro per ottenere la medesima risposta (prima incondizionale, ora condizionale). Lo stimolo, da neutro, si trasformerà quindi in stimolo condizionale.

Condizionamento operante
Si tratta di un paradigma sperimentale messo a punto da Skinner che si basa sul principio secondo cui alcuni comportamenti vengono riproposti perché hanno conseguenze piacevoli. Nello specifico, attraverso rinforzatori somministrati immediatamente dopo l’emissione del comportamento che vogliamo incrementare per frequenza, intensità e/o durata, aumentiamo la probabilità di riemissione del detto comportamento. In pratica, se vogliamo che il nostro bambino infili delle perle lungo uno scovolino, potremmo decidere di somministrargli un premio (bolle di sapone? patatine? 3 minuti di pausa? Solo l’assessment delle preferenze può dircelo!) a ogni perla infilata, affinché egli crei la relazione infilare perla = ottenere premio e sia più motivato a riprodurre la medesima azione. Si tratta quindi di condizionare, appunto, l’emissione del comportamento bersaglio.
Prima di partire però, devo chiarirmi quanto spesso il comportamento da incrementare si presenta senza rinforzo (bisogna fare una baseline), passaggio che mi permetterà di stabilire un obiettivo (quanto spesso ha senso che lo faccia?) e di verificare l’efficacia della mia strategia. Devo poi anche stabilire il tipo di rinforzo, che può essere:
– positivo, erogo qualcosa di gradito all’emissione del comportamento target;
– negativo, elimino qualcosa che genera disagio all’emissione del comportamento target (i calzini? La luce? Noi stessi? Ehi, se siamo noi la cosa da far sparire come premio vuol dire che il pairing va rivisto!).

I rinforzi positivi possono a loro volta essere:
– tangibili, ovvero premi materiali come oggetti, giocattoli, cibo, etc.;
– sociali, e cioè manifestazioni di approvazioni e affetto (“batti 5!”, “Sei un campione!”, “Grande che sei riuscito a infilare 6 perle!”);
– simbolici, come gettoni di una token economy o soldi;
– dinamici, ossia attività gratificanti o privilegi particolari (il vola-vola, la pausa, etc.).
Se associamo a un rinforzo tangibile quello sociale, possiamo aumentare la probabilità che, a un certo punto, il rinforzo sociale da solo sia sufficiente come premio durante le attività.
Usare rinforzi che si consumano velocemente (caramelline di zucchero, bolle di sapone, etc.) permette di ritornare più facilmente sul compito, mentre se a ogni perla infilata concedessimo al bambino di giocare con la sua macchinina preferita rischieremmo di perderlo.

Come ridurre il numero di rinforzi erogati, una volta che il comportamento target risulta appreso? Innanzitutto, accertiamoci che sia davvero appreso, raccogliendo dati, e poi sfumiamo i premi.
Non pensiamo che l’uso di rinforzi valga solo per i bambini in generale e per quelli con autismo in particolare. Vale anche per noi, adulti neurotipici ed emancipati. Avete presente lo stipendio? Altro non è che un rinforzo simbolico per aver trascorso 8 ore al giorno, 5 giorni a settimana, per un mese sul posto di lavoro. E la colazione al bar? Un bel rinforzo tangibile per premiarci di esserci alzati anche questa mattina al suono della sveglia. E quanto ci piace ricevere complimenti per il lavoro svolto? Ecco un rinforzo sociale. E, a fine settimana, l’aperitivo con gli amici per sollevarci dalle fatiche della routine, è un rinforzo dinamico, no?

Modellamento
Concetto sistematizzato da Bandura, consiste nell’apprendere da modello, osservando e imitando le azioni altrui. E sì, spesso nell’autismo le capacità di imitazione sono deficitarie, ma ci sono diversi tipi di funzionamento e, negli ultimi tempi, grazie anche alla maggiore fruibilità delle tecnologie, si sta diffondendo una strategia che appare molto promettente: il video modeling. Tale tecnica si applica mostrando all’individuo a cui si vuole insegnare un dato comportamento (complimentarsi, comprendere un messaggio verbale, giocare da solo o con i pari, etc.) un video in cui esso viene emesso da un modello di stessi età, genere ed etnia. Il video self-modeling implica che protagonista del video sia lo stesso destinatario dell’intervento, ripreso mentre emette spontaneamente il comportamento target o, nel caso di un training di abilità sociali, durante un role-play.

Tratto da: https://www.stateofmind.it/2020/11/autismo-apprendimento/